Renato Zero: "Sul palco con 100 musicisti, ascolterete Zerovskij così"
- menus95
- 17 mag 2017
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CRONACA di un'intervista telefonica interrotta due volte. Solo la prima, però, la decide il caso. Quando la linea all'improvviso cade, Renato Zero sta pronunciando la parola "sfumature", che così resta sospesa, spezzata a metà: sono le sfumature che l'artista romano invita a scoprire nei suoni dell'Orchestra di sessanta elementi protagonista di Zerovskij... solo per amore, il doppio album in uscita oggi, che dall'inizio di luglio sarà al centro dell'opera pop scritta da Zero, con un coro di trenta elementi, 7 attori e con l'orchestrazione di Renato Serio, dapprima in scena al Foro Italico (1, 2, 4, 5 e 6 luglio) e poi al Teatro del Silenzio di Lajatico (29 luglio), all'Arena di Verona (1 e 2 settembre) e al Teatro Antico di Taormina (7 e 9 settembre). Quando la conversazione al telefono finalmente riprende, Zero dice: "Questo è Rachmaninov che me la tira", continuando con una fragorosa risata. Ma non sarà Ciaikovskij, vista la scelta del titolo dell'opera? "Già, pure Ciaikovskij, ma che meraviglia: certo, conoscendo questi universi, i nostri sono tentativi molto modesti, e però...".
Come avete lavorato a queste partiture con il Maestro Serio?
"Ho consigliato a Renato alcuni trattamenti dei brani, però devo dire che lui in alcuni tratti è andato per conto suo, non ha tenuto conto delle mie indicazioni ed è anche giusto: non si può insegnare il mestiere a qualcuno che, non solo lo fa da tanti anni, ma è stato allievo di Trovajoli e ha vissuto in un'epoca in cui la qualità della scuola classica si è andata contaminando con il pop, vedi il lavoro di Morricone e Bacalov".
Come definirebbe quest'opera?
"Zerovskij non si può definire, le definizioni sono spesso fuorvianti, non danno quasi mai l'idea di cosa sia davvero un lavoro. Soprattutto, in questo caso vorrei la verifica del palco, per appurare attraverso le reazioni quanto sia identificato un lavoro del genere. La cosa che posso dire è che forse c'è un po' di Andrew Lloyd Webber, se proprio uno volesse cercare un confronto".
Webber, uno dei grandi nomi del musical.
"Webber però nasce con quel tipo di vestito, dentro quella nuvola, il suo impegno è definitivamente quello di autore di musical quindi anche il confronto non può essere così fedele, ma di simile c'è il bisogno di spaziare con un messaggio e con un tipo di lingua: questo è il linguaggio di tutti quelli che vogliono sfilarsi dalla regola del pop e avvicinarsi a un universo più ampio e più appagante".
Pensa che questo album possa vivere di vita propria, o questa volta i brani sono più legati alla loro messinscena?
"Ho pensato di far uscire prima il disco perché nel tempo che precede lo spettacolo il pubblico potesse assimilare questa pagina di musica. Guardando lo spettacolo tanti momenti si legheranno a quella impaginazione. Rischiando di peccare di presunzione vorrei dire che canzoni come Colpevoli piuttosto che Stalker o Vivo qui hanno una qualità che mi ricorda Bindi, o certi pezzi di estrema classe del passato. Noi non siamo più abituati ad ascoltare Tony Bennett, riteniamo che sia un italiano distante, ma a quasi 90 anni canta come un padreterno. Dobbiamo anche cercare di far crescere le persone, se io non avessi scritto Il cielo, Il carrozzone o Amico avrei corso qualche rischio, invece con quei pezzi ho acquisito la fiducia nell'utilizzo di un'orchestra sinfonica. Ma qui parliamo di grandi numeri: sul palco saremo oltre 100 artisti".
Una produzione anche costosa.
"Non parlo di costi ma del fatto che finalmente questa gente non sta a casa, li abbiamo riportati alla dignità dei loro 12 anni di conservatorio. Perché con questi signori della cultura che si fanno concerti per fatti loro nei teatri d'Opera o nelle strutture pubbliche che poi pubbliche non sono, non si va da nessuna parte. Gente che non sa mettere due frasi in fila e sottrae la cultura a chi ne ha veramente bisogno, a chi vuole con sapienza popolare contrastare l'ignoranza di chi ci governa".
L'ascoltatore si trova in un ambiente sonoro completamente diverso, a cominciare dall'assenza totale della parte ritmica.
"Se avessi messo la batteria non ci sarebbe più stato un cambiamento, e poi non si scomoda un'orchestra sinfonica per passaggi che non siano espressamente scritti per quella finalità. Perché è pur vero che Il cielo può essere suonato dalla Royal Philarmonic di Londra ma è del tutto casuale. Questa volta invece io mi ci sono proprio applicato e Renato Serio ha scritto partiture pazzesche: lo sa riconoscere chi è abituato ad ascoltare musica sinfonica; che sa valutare l'impatto di tutta l'orchestra, dai legnetti agli strumentini, alle arpe, compreso un coro di trenta professionisti".
Si parla di guerra, di muri, ma soprattutto di solitudine?
"A qualcuno risulta che nel telegiornale abbiano raccontato che 7 miliardi di persone siano felici, mangino, vadano a scuola e abbiano il campetto da calcio? Mi pare di no. Sto facendo un discorso complesso, di gioia, che comprende anche la solitudine e la fragilità, ma forse l'album andrebbe riascoltato con attenzione, senza pregiudizi, senza sentirsi parte dell'ufficio demolizioni, senza per forza dover parlare della superficialità di Facebook". E su questo la linea ricade definitivamente.
Fonte: Repubblica.it
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